A belly full of wine - Romanzo

mercoledì 2 marzo 2011

A belly full of wine - chapter 3


Il giorno dopo il tempo continua a fare schifo ma almeno è venerdì.
Ogni venerdì Robert pretende che si faccia una riunione, alle 8 puntuali, in occasione della quale ci aggiorniamo sullo “stato delle cose”. In realtà, alla riunione partecipiamo soltanto io, lui, Max ed Josh che è il ragazzo che ha preso il posto di Barbara dopo che lei è stata trasferita al reparto Mktg Services. Robert stravede per lui e, anche se non si può dire che Josh sia antipatico, è il classico figlio di papà brillante a cui capitano continuamente occasioni d’oro per le quali tu saresti disposto ad uccidere: ha un anno meno di me ed è già stato assunto, il che vuol dire che ha un contratto, suo padre è un pezzo grosso della Atomic Heal, la compagnia petrolifera, e tutti lo trattano amichevolmente, compresi Jack e David Drake, il grande capo di Jack. E’ capitato più di una volta che a mensa fosse invitato al tavolo con loro e poi partecipa a tutte le riunioni di staff più importanti, dalle quali io e Max veniamo accuratamente esclusi. Nonostante tutto, però, è estremamente gentile e molto competente e i primi tempi, quando ancora c’era Barbara, noi due eravamo diventati piuttosto amici.
Tornando alla riunione del venerdì, non si capisce bene quale sia lo scopo reale, dato che noi quattro lavoriamo davvero a stretto contatto (oltre che in un quadrilatero di 3 metri per 3) e le novità ce le comunichiamo con una certa rapidità, però Robert è fissato con questa pagliacciata il che comporta che la puntualità, il venerdì mattina (cioè il giorno della settimana in cui il resto dell’universo si sente già in vacanza), diventa maledettamente importante.
Arrivo trafelata alle otto meno dieci, sono distrutta ma mi aggrappo disperatamente alla consapevolezza che è venerdì e che se è vero che c’è la riunione è anche vero che Robert evaporerà dall’ufficio alle quattro e a quel punto il week end acquisterà un sapore più reale.
Come al solito non c’è niente su cui aggiornarsi che già non ci siamo comunicati nei giorni precedenti, perciò prendo svogliatamente appunti sulle trite indicazioni di Robert e cerco di non addormentarmi mentre Josh si lancia in un appassionato report sullo stato di avanzamento del progetto su cui lavora.
Alle otto e mezza siamo di nuovo ognuno davanti al suo computer e io scrivo qualche email di buon giorno ai miei amici, consapevole che, almeno prima di un’ora, nessuno controllerà la posta dell’ufficio.
Poco dopo arriva Barbara ed esco per raggiungerla: ha un’aria tremendamente abbattuta. Di colpo, mi torna in mente la faccenda della riunione.
“Come mai sei così mogia?” Le chiedo mentre facciamo la fila per ordinare i cappuccini.
“Lascia perdere, stamattina è una catastrofe. Stanotte non ho praticamente chiuso occhio, morivo di caldo e penso di avere la febbre; mi è tornato pure quel dolore al ginocchio…” Fin qui è tutto nella norma: Barbara, stando a quello che dice, non dorme mai la notte, muore sempre di caldo e spesso si sente febbricitante. Il dolore al ginocchio mi mette un po’ in allarme, invece, potrebbe essere la somatizzazione di qualche bega lavorativa.
“E la riunione di ieri l’avete  più fatta?” Cerco di mantenere un’aria vaga mentre verso lo zucchero nella tazza.
Mi guarda con occhi improvvisamente spiritati: “Quegli stronzi, non sai che hanno fatto! Appena tornata dal pranzo, ieri, mi hanno praticamente aggredita, Paul è stato brutale: hanno detto che non mi dovevo permettere di trattarli in quel modo, che non mi dovevo azzardare a convocare riunioni di chiarimento e meno che mai di coinvolgere Sylvia. Paul è stato davvero tremendo, anche volgare…” Per evitare che mi ripeta gli improperi di Paul nel bar zeppo di dipendenti, la incalzo: “E tu che hai fatto?”
“Niente. Cioè, sono andata da Sylvia, è ovvio.” Mio Dio.
“E lei?”
“Lei niente, ieri non c’era. Sta seguendo dei corsi di formazione manageriale, torna lunedì. Ma voglio andare in fondo a questa storia…” Mi guarda depressa. Barbara non è cattiva, è che con la gente proprio non ci sa fare.
“Sai Barbara, forse dovresti lasciare perdere tutta questa storia, forse sarebbe meglio se ci mettessi una bella pietra sopra e provassi a recuperare i rapporti nella stanza…”
“Dici? Il fatto è che Sylvia a questo punto avrà già letto l’email…”
“Quale email?”
“Quella che le ho scritto ieri subito dopo essere stata assalita verbalmente da quegli stronzi dei miei colleghi! Le ho spiegato la situazione e le ho detto che questa storia va chiarita una volta per tutte perché io mi voglio integrare nel team.” Sì, con la grazia di un bulldozer!
“Beh, secondo me devi solo sperare che il fine settimana aiuti tutti a tranquillizzarsi perché questa cosa sta assumendo dei toni leggermente troppo aspri…”
Torniamo di sopra e ci salutiamo. Max, dentro, è alle prese con una pila di fatture di pneumatici da controllare.
“Meno male che sei tornata, devo scendere in amministrazione.” E infila la porta traballando sotto il peso della carta. Io mi siedo pigramente al mio tavolo, sono ancora le dieci e un quarto…
Mentre sono alle prese con un foglio di lavoro Excel, il mio cellulare comincia a vibrare.
Oddio, un numero sconosciuto, magari mi chiamano per un colloquio. Non posso certo rispondere qui in stanza rischiando che tutti ascoltino.
“Max, quanto ci metti a risalire…” Penso in preda all’agitazione.
Il cellulare vibra ancora, ma non posso aspettare in eterno. Con uno scatto improvviso mi lancio verso il corridoio “Al diavolo: non mi può impedire di andare in bagno!” Robert è talmente fissato con questa storia del presidio della postazione che quando è costretto a partire per lavoro ci chiama all’ora di pranzo, anche a distanza di pochi minuti, per controllare che io e Max non scendiamo a mensa insieme.
Esco per le scale di servizio e rispondo.
“Pronto? Miss Holden?”
“Sono io.”
“Buongiorno, sono Liza Dalby, la chiamo dalla Sommers Incorporated. Abbiamo ricevuto il suo curriculum e vorremmo fissarle un colloquio. Le andrebbe bene martedì 6 dicembre alle 14,30?” E’ tra poco meno di un mese.
“Oh, sì io…grazie! Io al momento sto lavorando, non sarebbe possibile sostenere il colloquio nel tardo pomeriggio, dopo le 18,30?”
“Mi dispiace, Miss Holden, ma la Dottoressa Lewis non ha altri momenti vuoti in giornata. Altrimenti dovremmo spostare il tutto a…mi lasci guardare…non c’è niente prima della fine del mese e…”
“Martedì alle 14,30 va benissimo” Mi sento dire.
“Bene, a presto, allora.” E attacca.
La Sommers Inc. è una casa editrice scientifica che organizza un master in giornalismo molto ben strutturato. E’ un master piuttosto costoso, ma ci sono diversi sponsor che mettono a disposizione delle borse di studio e qualche settimana fa ho mandato il mio curriculum insieme ad una lettera di presentazione manoscritta (era richiesta nel modulo) per tentare di ottenerne una.
Sarebbe un’occasione grandiosa, anche se probabilmente per seguire i corsi dovrei lasciare il lavoro. Tanto, con quello che guadagno in Global, posso benissimo cercarmi un lavoretto part time per arrotondare la borsa di studio.
Magari nella libreria di Jarrod hanno bisogno di personale.
Rientro in stanza con aria circospetta, in fondo sono stata via solo pochi minuti ma  Robert mi fulmina con un’occhiata.
“Trish, mi sembrava di essere stato chiaro su questo punto, tu e Max non vi dovete mai allontanare insieme. Mai, capisci? Se fosse capitato qui Jack o peggio, David, ci avremmo fatto una figura veramente pessima!”
“Dio Robert, scusa: ero in bagno”
“Dì pure al telefono per le scale…” Santo cielo, mi spia! “Capisco che è venerdì, ma puoi anche aspettare che Max rientri per organizzarti il fine settimana!”
Beh, almeno non ha ascoltato la conversazione. Non mi resta che scusarmi e rimettermi al lavoro: certe volte mi sento un minatore dell’ottocento, Robert è veramente un aguzzino! Deve avere delle tendenze sadiche…ce lo vedo con frusta e perizoma.
Comunque, ora mi devo concentrare sul colloquio: cosa mi metto? Devo sembrare determinata, le borse di studio non le danno facilmente e senza borsa di fare il corso non se ne parla.
Mi siedo al computer e noto subito una bustina lampeggiante: ho un’email, che bello. Adoro ricevere email personali in ufficio.
E’ Emma che, per stasera,  propone un nuovo locale dove fanno musica dal vivo. Perché no? Basta che non si debba ballare: mi va di ascoltare un po’ di jazz e bere una birra in tranquillità.
Rispondo che per me è ok e controllo chi è in copia: Jarrod, ovviamente, Rebecca e Zoe che sono le due ragazze con cui Emma divide l’appartamento, Will il ragazzo di Zoe e Peter Boyd un amico di Emma, un tipo piuttosto strano ma, a suo modo, interessante. Credo che Emma gli piaccia e mi sembra che anche a lei non disdegni la sua compagnia ma preferisco non approfondire perché Emma è particolarmente suscettibile sull’argomento “uomini”.
Nel pomeriggio la pioggia sembra calmarsi, alle quattro, come previsto, Robert saluta tutti e va via e noi superstiti della settimana tiriamo un sospiro di sollievo. Verso le sei arriva Jack che è stato chiuso tutta la giornata nell’ufficio di David Drake a discutere della campagna vendite autunnale. Lo guardo venire verso il mio tavolo con aria affamata. Che novità, peccato mi sia appena finita i biscotti con le gocce di cioccolato presi al bar stamattina: hanno questi biscottini deliziosi che vendono in confezioni mini…una vera salvezza per i momenti d’appetito improvviso.
“Ciao ragazzi” Con un mezzo sorriso comincia a perlustrare i nostri tavoli “Qualcosa da mangiare?”
Mi dispiace per te, scroccone, arrivi tardi!
“Niente, Jack…scusa”
“Oh, non c’è problema” Afferra il mio pacchetto di gomme con aria delusa e se ne prende un paio. Accidenti a me e a quando non le ho rimesse in borsa!
“Robert?” Domanda guardandosi intorno.
“Beh, Robert è andato via un paio d’ore fa…” Esulto: beccati questa, lurido verme!
“Ah.” Di nuovo aria sconsolata. Quest’uomo deve annoiarsi molto, quando non lavora.
Pochi secondi dopo, Amanda Pitt, un’insopportabile brand manager, avanza verso di noi sorridendo a Jack.
“Ehi, Jack, sempre a lavorare? Nemmeno il venerdì ti concedi di uscire prima?” Cinguetta, senza degnare me e Max di uno sguardo.
Jack sorride “Bei tempi Amanda, quando anch’io ero brand: una vita di vacanza!”.
Prima di diventare Capo del Post Vendita, Jack era il coordinatore dei Brand Manager e, almeno da un punto di vista sociale, abbiamo tutti la sensazione che si trovasse molto meglio con il suo vecchio team. Appena ha un attimo corre da loro a scambiarsi battute e ho la sensazione che con alcuni brand si veda anche fuori dall’ufficio.
Non è che gli si possa dare interamente torto: i brand manager sono tutti intorno alla trentina, snob e fighetti, si credono una specie di casta e quando passano in tre o quattro nei corridoi hanno sempre l’aria di divertirsi un mondo. Cioè, io li trovo insopportabili (e il fatto che nessuno di loro si prenda mai il disturbo di salutarmi non contribuisce a migliorare la situazione) ma credo che Jack li rimpianga. Certo che se si pensa a chi ha nel suo team adesso…In pratica sotto di lui ci sono Robert, Katya, Leopold e Josh oltre che Max e me. Robert non necessita di altre parole per essere descritto, Leopold è uno che ha superato abbondantemente la cinquantina, un fanatico della palestra (sparisce tutti i giorni un paio d’ore, a pranzo) fissato con gli antichi Romani: diciamo che è uno che vive un po’ sopra le righe, adora esagerare, sbraitare al telefono, fare battutacce…l’unico pregio è che tra i suoi passatempi preferiti c’è quello di prendere in giro Robert. Katya invece non è male ma ha quell’aria da prima della classe un po’ fastidiosa e non credo che Jack le vada molto a genio: era molto attaccata ad Andrew, il suo predecessore, che era stato il suo capo anche quando lei faceva ancora il lavoro in zona e l’aveva voluta per il posto che ricopre adesso. Poi c’è Josh ma, nonostante sia brillante, è troppo giovane perfino per Jack; e per finire Max ed io, praticamente la feccia dell’ufficio, condannati ad un insulso contratto di stage per sbrigare il lavoro sporco. Jack supervisiona anche altre quattro persone dell’ufficio analisi, ma nessuno merita neanche di essere nominato in questa sede.
Mentre Jack e Amanda si allontanano tiro un sospiro di sollievo e metto le gomme nella borsa: sono quasi le sei e trenta, l’ora giusta per dileguarsi.

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