A belly full of wine - Romanzo

martedì 27 novembre 2012

Alti e bassi

Che Paese assurdo siamo. Per un mucchio di motivi e di certo questo non è il più serio però questa cosa la trovo emblematica: la discriminazione sull’altezza.
Vi riepilogo i fatti salienti: domenica mattina, sole, avevamo deciso di lasciare il gatto coi nonni per andare a farci una giocata nel verde ma il gatto in questione ha sfoderato le armi da gatto che gli sono proprie (occhio languido e voce suadente) e non ce la siamo sentita di lasciarlo. Conclusione: andiamo tutti al Bioparco.
Tutti sono: Kaiseki, Mr.P, Nonno, Nonna e Shogun. Arriviamo a Villa Borghese e prendiamo il ticket per la fila alle casse (aperte 2 su 7, 85 numeri prima di noi, tempo di attesa: mezz’ora, prezzo pagato per 4 biglietti interi 52 euro). Allora, al bioparco la determinazione della tariffa si basa sull’altezza, anziché sull’età: sotto il metro entri gratis, sopra il metro paghi.
Cioè a dire che se sei un bambino piccolo ma alto sei fregato. Il gatto è alto (non per merito del kaiseki) ma è pur sempre un bimbo di 3 anni e mezzo, con le stessissime esigenze/velleità di un bimbo di 3 anni e mezzo con 5 cm di meno. Orbene, mi voglio autodenunciare: è vero, il gatto supera il metro, sarà almeno 102-103 cm.
Forse pure 104!
Eppure io domenica il quinto biglietto non l’ho fatto.

Quindi siamo arrivati all’ingresso e l’addetta allo strappo del biglietto ci sorride. Poi guarda lo shogun. Poi guarda me e fa con aria fintamente simpatica “Ma questo bambino è alto meno di un metroooo?”, al che io con gli occhi fissi nei suoi e senza una piega rispondo “Sì!” (forse con un tono appena un po’ isterico).
Allora lei strappa i nostri biglietti e fa per lasciarci passare, poi ci ripensa. “Possiamo misurarlo?” “Certo!” e il micio si accomoda accanto al metro di legno anti-bambini-scrocconi.
C’è stato un momento in cui il mondo intorno si è congelato, un momento in cui il kaiseki ha spinto al massimo il carisma nel suo sguardo assassino e la bigliettaia ha combattuto una lotta silenziosa tra la consapevolezza di ciò che è folle e di ciò che è regola. Poi, tutto ha ripreso a girare. Lei ha abbassato lo sguardo e ha detto “Va bene, passate” e noi siamo entrati.

Siamo entrati in un Bioparco triste, trascurato, deprimente (vabbè, uno zoo è uno zoo) però, proprio, si vede che l’impegno è ridotto al minimo (ah, se tutti i bambini più alti di un metro pagassero...allora sì che sarebbe un posto curato!). Cmq non voglio entrare nel merito della visita perché oggi volevo raccontare l’esperienza ingresso però davvero mi sono interrogata sul senso sfocato di questa regola. Girovagando per Austria e Germania ho notato come, dai due adulti in su, abbiano questa bella tendenza a sfoderare il biglietto famiglia che, generalmente, include 2 pargoli. Che non è tanto una mossa antieconomica, perchè io mi chiedo: se 4 adulti + 1 marmocchio = 52 euro per il Bioparco, secondo voi 4 adulti - 1 marmocchio = quanti euro? Che dite, la avranno la licenza elementare i responsabili vendite della Fondazione Bioparco o hanno solo la laurea in economia?

E per concludere - oggi sono in vena di polemiche - vorrei tirare in ballo un (altro) argomento disgustoso (ma questo sul serio): le deiezioni canine.
Che novità! - penserete - però, lo stesso, voglio declinare questo tema altamente lurido per la città di Roma: uno sfacelo.
Ieri sera, mentre io e lo Shogun tornavamo dal supermercato carichi (cioè, io carica) di buste+ borsa+zainetto DRAGHIFORME, quasi sotto casa...zac: lui mette il piede sopra una cacca! Eccheccaxxx!!!!! (ululo tra me e me) ma dalla bocca mi esce solo un “Noooooooo! Mannaggia, amore! Struscia il piede per terra...”.
Ma capirai, hai voglia a strusciare: avete presente i chiodini sotto le adidas? Ecco, appunto.

Chi non ha figli, non può capire, credo. Ci ho riflettuto nei 25 minuti durante i quali ho cercato di pulire ‘sta merda con uno spazzolino da denti, un bicchiere d’acqua, una bottiglia di Lysoform, un giornale e due sacchetti di plastica al posto dei guanti. Cioè pensateci (ma anche no, lo capisco se è “no!”): chi non ha un lavabo sul terrazzo/balcone, come le pulisce le scarpe, se ha calpestato uno schifo di bisogno di cane?!
Vi dico solo che, alla fine, ero talmente disgustata che ho piazzato il gatto davanti agli zonzoli e mi sono buttata sotto la doccia con una bottiglia di disinfettante; i vestiti che avevo addosso li ho mandati in tintoria.
Esagero? Non credo. Ma voi lo sapete quanta sporcizia di questo genere c’è per strada a Roma? Sui marciapiedi, una profusione, nei parchi e nelle ville nemmeno ve lo racconto...anche se la peggiore di tutte (e l’ho dovuta fotografare: tranquilli, qui non la metto, voglio mandarla ad Alemanno con gli auguri di Natale) è stata una cacca sulla pedana dello scivolo di un micro parco giochi di un quartiere residenziale, accanto al capolinea di un autobus.
Cioè, sopra lo scivolo, capite?! In cima alla scala dello scivolo...la deiezione del cane volante!

E ora che ho denunciato questi due incresciosi episodi, vi chiedo: qualcuno di voi ancora pensa che vivere a Roma sia un’opportunità?
Ora lo capite - sì?! - perchè il Kaiseki a casa pretende che, varcando la soglia, tutti si tolgano le scarpe?

Scusate, ora devo proprio prendere il Valium...

venerdì 23 novembre 2012

The duchess of Kircaldy always smiling and arriving late for tea...

Non sprecherò righe preziose a giustificarmi per i mesi di vuoto pneumatico, voglio arrivare a bomba all’argomento di oggi: il Kaiseky, a un anno dalla lezione di prova minuziosamente descritta in un post, si è iscritto ad un corso di yoga. Si è iscritto e ha pagato, quindi è definitivo.
Shanti.
In realtà, ormai è quasi una cosa vecchia: pratico già da 2 mesi. Quasi. Una volta a settimana: la versione ufficiale è che a casa non posso esercitarmi perchè non ho ancora l’attrezzatura adatta (tappetino, mattoni, cuscino, cintura...) ma non appena riceverò il sostanzioso ordine da Yoga Shop Milano (perchè a quanto pare a Roma non ci sono negozi che vendano supporti per lo yoga) allora sì: vedrete che guerriero della luce divento!
La lezione si articola in un’ora di esercizi e mezz’ora di rilassamento.
Io confesso che il rilassamento alle nove di sera, con il gatto ancora sveglio e vigoroso che salta sul letto con il padre, la cena ancora da preparare e la doccia (coi capelli) ancora da fare, ecco, non me lo godo fino in fondo. Eppure, c’è gente accanto a me che si abbiocca all’istante. Cioè, tipo che il maestro non fa in tempo a dire “Ora portate la vostra attenzione all’alluce del piede sinistr...” e parte la prima russata. Al confine (ma anche oltre) con l’imbarazzo, dai: tutti lì con la copertina a dormire...vabbè ma a parte questo, devo dire che procede abbastanza bene. Riesco perfino a gestire la mia irritante propensione alla risata ad minchiam. Cioè a dire che la scorsa settimana ho ascoltato un’approfondita descrizione della respirazione Kapālabhāti, altrimenti detta del “cranio luminoso”, senza fare una piega.
Certo, Mr. P. non ce lo porto, figurati. Però bello.

Un’altra cosa rilevante è che abbiamo deciso di prendere un gatto. Non un gatto normale: un Gatto sacro di Birmania (oooooooooooooooooohhhhhhhhhhhh!).
Questa risoluzione mi ha traslato nello scintillante universo delle gattare romane: un mondo parallelo, dalle dinamiche peculiari, caratterizzato da un proprio linguaggio tecnico, proprie convenzioni ed unici, felini equilibri. Il gatto, lungamente cercato e infine individuato in quel della Bufalotta, ci verrà consegnato a Natale (attualmente è ancora piccolo) e poi Dio provvede.
Ovviamente i miei (sì, lo so è una follia) non sono ancora stati informati.
So di essere una donna adulta, con una casa ed una famiglia sua ma non ho mai del tutto superato il trauma delle 2 volte che provai a prendere un micio e i miei genitori me lo fecero restituire.
La prima volta avevo 8 anni, lo presi al mare una settimana che ero rimasta con mia nonna. Ovviamente il sabato ciao-ciao-gatto (la quale bestiola però riuscì ugualmente, in 2 giorni di vicinanza, ad attaccarmi la tigna: ebbene sì, non chiedetemi come ma soprattutto, non chiedetemi cos’è!). La seconda volta avevo 21 anni malo stesso, non ci fu verso di tenerlo.

(Pensiero laterale: questa cosa della tigna me l’ero dimenticata...no perchè non fu una cosa allegra mandarla via...vabbè, adesso pensiamo al bello del micio Momiji-Piumino)

Altro argomento: una volta tanto, qualcosa di giapponese. Ultimamente mi è venuta questa voglia di cucinare cose non solo buone ma divertenti per lo shogun e ho scoperto il kiara ben* che sarebbe un bento decorato, dentro cui il cibo viene plasmato per assumere forme graziose di animaletti o personaggi dei cartoni. Per chi fosse interessanto all’etimologia della parola, sappia che kyara ben è la forma contratta della parola kyarakutaa (personaggio) bentou. Cmq, ho fatto un giretto su internet e ho trovato un sacco di siti che insegnano a prepararne e - accanto a proposte proibitive che richiedono l’ausilio di strumentazioni degne della NASA - ci sono anche cose fattibili.
Vi metto qualche link, se vi va, provate e mandatemi le foto: appena mi esce un bento decoroso, pubblicherò anch’io i miei risultati.

Per ora basta, ascoltate la canzone del titolo, mi raccomando!

Links:
1
2
3

* grazie al blog Dal Giappone!

venerdì 27 luglio 2012

Jonathan Livingston si è trasferito sul Lungotevere

L’argomento di oggi sono i rumori della città.
Sembra il titolo di un tema delle medie ma non saprei come altro introdurli. Un po’ come quando dico a mia madre che non voglio che lo Shogun mangi i pop-corn (e vi assicuro che sono forte di una serie di motivazioni altamente logiche, non professo alcun fanatismo alimentare) e lei mi chiede “Ma perché hai sempre questo tono da maestrina?!”. Al che io mi scuso ma le rispondo che non so come altro dirglielo - appunto. Uno dei grandi problemi della politically correct society è che, laddove i contorni dell’autorità appaiono sfumati e indefinibili (tipo nel contest genitori/nonni che, non ci raccontiamo storie, in Italia soprattutto evidenzia confini - direi - ineffabili) se uno dà un input (input è il termine accettabile ma poco incisivo, per capirci fino in fondo, bisognerebbe dire direttiva, istruzione, comanda...) l’interlocutore, tendenzialmente, si risente. 
E se proprio non si risente, comunque si stranisce. 

Il fatto è che non c’è un modo più soft di dire “Guarda, il gatto i pop-corn non li deve mangiare”. O almeno credo: non lo so, sono aperta ai consigli. Cmq, sto andando fuori tema, l’argomento di oggi sono i decibel di Roma. Ridefiniamo quindi il campo escludendo il suono dei ruscelli scroscianti, della musica nell’aria, del grido delle aquile ed includendo una serie di sonorità meno, diciamo così, new age.

Volendo essere brutali, buttiamoci sul punto elenco e diciamo che oggi si parla dei seguenti rumori ricorrenti:

  1. Le sirene delle auto blu: perché Roma - manco Itaca - è la città delle sirene. Forse ci batte Napoli dove anni fa un’amica mi disse che nei quartieri spagnoli le vendevano per piazzarle sul tettino e passare nella corsia preferenziale. Ma non frequento molto Napoli quindi non ci giurerei. A Roma, ve lo posso assicurare, si incontrano quotidianamente una profusione di auto che procedono a sirena: spiegata o singhiozzante, scegliete voi. Sono ovviamente escluse dalla mia requisitoria le sirene dei mezzi sanitari: mi riferisco solo alle sirene delle auto. Politici, diplomatici, imprenditori, riccastri di varia natura o personalità, insomma, chiunque disponga di un’auto coi vetri oscurati, una sirena sul tettino e - ma non è preclusivo - di una scorta più o meno numerosa: quelli. Per costoro non esistono i semafori, non esistono gli incroci, per costoro, può capitare che non esistano i sensi di marcia. Non esistono i limiti di velocità, non esistono le strisce pedonali e, a volte, non esistono nemmeno le altre auto/motorini. Belli tronfi e di frettissima o arrivano con la sirena a cannone, tipo Sandra Bullock in Speed, o accendono la sirena solo quando devono passare col giallo/rosso, quando devono ignorare la precedenza, devono parcheggiare un po’ come gli pare (in quel caso la sirena è spenta ma sta cmq lì ad emanare il suo alone di intangibilità).

  1. Il camion della spazzatura alle 5 di mattina: perché il Kaiseki abita in un palazzo che fa angolo tra due strade e in entrambe le strade ci sono 4 cassonetti dell’immondizia. 4+4=8 e - non per scendere in particolarismi inutili ma solo per farvi capire - entrambe le vie sono sensi unici, il che implica che i cassonetti NON SOLO non vengano svuotati nello stesso momento (perché le varie raccolte si effettuano con vari automezzi) ma non vengano svuotati NEMMENO durante lo stesso turno. Cioè il camion che raccoglie l’umido nella via x, non è lo stesso che lo raccoglie nella via y, no: si tratta di 2 camion che passano ad intervalli di - non lo so - diciamo mezz’ora? (all'alba la percezione del tempo è sfocata come i confini delle autorità parentali). Questo per dire che fanno un gran casino, all’alba. E voi sbotterete “meglio che la spazzatura la raccolgano, no?! ti stai sempre a lamentare!”. Certo che è meglio! Ma io con questo blog risparmio centinaia di euro di psicologo, quindi me sfogo quanto mi pare!
 
  1. I clacson (ma questa è facile, vado rapida): a Roma, se non suoni il clacson sei uno stronzo e uno sfigato (perdonate i francesismi). O per lo meno, io in più di 30 anni, l’ho capita così. Ora, la storia del clacson suonato un po’ ad minchiam, finché non ti trovi a portare a spasso un pupo con le coliche che dorme in carrozzina, è una cosa che i romani non li disturba nemmeno troppo. Diciamo che, avendo i clacson nelle orecchie fin dalla più tenera età, abbiamo imparato ad ignorarli (un po’ come una mia amica che ha da anni un fischio nell’orecchio - che si chiama acufene, ve lo scrivo così poi non dite che questo blog non è istruttivo - e ora, se non si concentra, non lo sente neanche). C’è pure da dire che a Roma ci sono un milione di motivi per suonare - perchè i dementi li bocciano a tutti gli esami tranne che a quello per la patente - però veramente io penso che...boh, forse a Shanghai c’era più casino per strada ma c'è da considerare che in Cina, per guidare, non serve la patente.   

  1. Le grida dei gabbiani*: d’accordo, questo potrebbe essere classificato come suono ameno. Se qualcuno di voi vedeva Hello Spank, ricorda che a fine puntata Aika si ritrovava sempre, fronte oceano, a pensare a Rei e al padre...insomma una cosa romantica. E infatti, queste grida sono piacevoli. Il punto è che a Roma non c’è il mare, però di gabbiani è pieno. Ma pieno pieno e, negli ultimi anni sono pure aumentati.
Quindi l’altra sera cenavamo in terrazzo ed era un tripudio di “Aaaaah-aaaaaah!” e voli radenti tanto che lo Shogun - che è in piena traversata della fase “e perché?” - ha cominciato:
“E perché questi uccelli volano?”
“Perché rientra nei loro obblighi contrattuali” (non scherzo, ormai siamo in gara: la risposta deve superare l’assurdità della domanda. Sennò è da lexotan!)
“E perché i piccioni fanno questo rumore che urlano?”
“Perché non sono piccioni, sono gabbiani”
“E perché volano proprio qui?”
“Perché abitiamo al mare, sei contento di abitare al mare?”
Lui mi guarda, ci pensa e fa.
“Dopo cena voglio andare a Ital Canada (stabilimento balneare sul litorale pontino dotato di giochi per bambini - nda).”

Discorso chiuso, non fa una piega.


*apro una brevissima parentesi su Yahoo answers, che ho consultato per sincerarmi che i gabbiani in effetti gridassero, e a cui voglio dedicare un post in futuro per l’enorme mole di domande sbalorditive che le persone, ed io stessa, sottopongono alla rete...vabbè, prossimamente.

martedì 24 luglio 2012

E Minosse chiese a Pasifae il test del DNA...

Estate, tempo di crisi. E quest’anno pià che mai si tratta di una crisi strisciante, lacerante.
Non avevo mai avuto l‘opportunità di riflettere (in effetti, perchè avrei dovuto?) su quanto siano cambiate le vacanze dei bambini negli ultimi 30 anni. Quando ero piccola mia madre non lavorava ed io e mio fratello ci cuccavamo 3 mesi abbondanti di mare con lei. Adesso, lo Shogun a 3 anni ha già i ritmi vacanzieri di un adulto, ovvero COMPILA IL PIANO FERIE. Il che significa che le sue vacanze sono mooolto ridimensionate: 3 settimane. Lo trovo assurdo ma non intravedo soluzioni, a meno di non rinunciare a lavorare (ok, ditemi dove firmare) scelta che, tuttavia, per quanto lusinghiera, non mi pare oggettivamente percorribile.
E quindi stiamo a Roma, a schiumare con Caronte, Minosse, Lucifero e tutto il cucuzzaro!
Amen. Almeno il we si va al mare. Coi nonni. E quindi, la scorsa domenica in spiaggia, compressa come un trancio di tonno Rio Mare, ho avuto l’oppurtunità di elaborare una serie di constatazioni legate a questo luogo di ameno refrigerio che è il litorale pontino.  
Innanzi tutto ho riflettuto su come il concetto di proprietà divenga sfuggente e nebuluso, una volta varcato il confine del lido. Facciamo l’esempio dei giocattoli. Chi non ha figli, giustamente, non può capire ma chi ne ha sa con certezza che qualunque gioco da spiaggia (che si tratti di un banale secchiello o di un ultra-appealing fucile a pompa) se abbandonato per più di - diciamo - 30 secondi, passa automaticamente nella sfera del se mi piace lo prendo, altrimenti detta il supermercato del casualmente gratuito o, ancora, la categoria del toh, guarda che culo, proprio il canotto 2 m x 3 pieno d’acqua che mi serviva. E quando tutto ciò accade, non crediate di poter cacciare impunemente l’abusivo, perchè a quel punto si possono verificare due eventualità:

  1. lo Shogun sta facendo il bagno con Mister P., non ha nessuna intenzione di uscire dall’acqua per usare l’oggetto in contenzioso ma ha visto che qualcuno l’ha preso e inizia a gridarti “Mammaaaaaaaa, il mio fucileeeeeeeeeee!”. Il problema è che, come tutti sanno, in spiaggia è gravemente scorretto togliere un giocattolo ad un bambino se - oltretutto - non devi nemmeno usarlo!
  2. lo Shogun vuole rientrare nella piscinetta e cacciare l’intruso ma il bambino in questione non collabora e la madre è dispersa. Ora, non è che tu possa sollevare di peso la creaturina e defenestrarla quando è ovvio che nella piscinetta entrano tranquillamente entrambi i pupi. E l’opzione mi piace sguazzare largo e preferisco che nessuno faccia pipì nel mio canottino sulle spiagge italiane o non è contemplata o ricade nella categoria MISANTROPO & ANTISOCIALE.

Questo per dire che non è semplice, non è per niente semplice, nemmeno in vacanza. O forse è solo il vecchio problema di gestione delle interazioni con il prossimo che si ripropone per il Kaiseki più o meno ciclicamente, come le lamentele di quelli del piano di sotto per l’acqua che scola quando piove (su questo argomento, prima o poi, scriverò un post).
Comunque, teniamo duro che siamo a fine luglio, alcuni di voi sono già a riposo (no, non intendo esodati), altri stanno per partire...bisogna tenere duro. Ad ogni modo, in generale, ricordate di essere prudenti con la fauna da spiaggia, molto prudenti.
Ed io, come Gas Gas, il topo sovrappeso di cenerentola: “Prudo, prudo, pruderò moltissimo!”

venerdì 13 luglio 2012

TsuguKaji-KOTO in concerto: finalmente un po' di Giappone in un blog giapponese!

La premessa maggiore è che lo Shogun è stato eroico, la minore è che ieri sera, finalmente, abbiamo fatto qualcosa di giapponese. E finalmente posso comunicare sul blog una notizia attinente all’impegnativo sottotitolo del blog stesso.
Questa settimana si è festeggiata a Roma l’estate giapponese, con qualche (niente di esagerato) manifestazione a tema e 3 serate di musica tradizionale all’Auditorium Parco della Musica. E noi, per ieri, avevamo preso 3 biglietti per andare ad ascoltare il duo Tsugukaji Koto: due suonatrici di Koto - appunto - alla loro prima esibizione europea.
Il Koto è uno strumento tradizionale a corde introdotto in Giappone dalla Cina nel periodo Nara (tra il 710 e il 784 d.C.), una specie di cetra molto più grande, dal suono dolce e armonioso.
Il signor Pinco Pallo, direttore artistico della manifestazione, in apertura di concerto pronuncia - tra le altre - le seguenti parole: “Il koto è la rappresentazione giapponese del drago in tutte le sue emanazioni”. Questo perchè lo strumento viene paragonato al dragone cinese e le sue varie parti riprendono il nome dalle parti del corpo del mitico animale. Quello che rimane nell’orecchio dello Shogun - ma non mi sorprendo - è la parola chiave della serata: DRAGO.
Il gatto, che - ripeto - è stato di una compostezza ed una serietà che lèvate, dando letteralmente le piste al Kaiseki e a mister P., tragicamente fulminati da un ignobile  attacco di ridarella quando le Tsugukaji hanno iniziato a cantare (da dire, in uno stile Marrabbio di KissmeLicia), ha sussurrato ad intervalli regolari di 30-40 secondi “il drago quando arriva?” oppure “dov’è il drago?” fino allo zenit di “adesso arriva il drago e se le mangia tutte e due!”. Questo, per l’intera durata del concerto.
In effetti la cosa non fa una piega: lui aspettava ‘sto drago, che però alla fine ha avuto un contrattempo e non è potuto intervenire. Era un drago italiano, gliel’abbiamo spiegata così.

Cmq, ridarella a parte (perchè se uno nasce povero di spirito, non è che si trasforma in persona illuminata improvvisamente: servono quei 2-3 minuti utili per acclimatarsi e farsi odiare dai vicini) è stato davvero bello. Lo Shogun ha dimostrato una finezza di gusti ed un aplòmb che gli sono valsi tanti sorrisi quante sono state le occhiatacce che si sono guadagnati i genitori. Avrei voluto fare un video ma era vietato, quindi vi metto il link di uno dei brani che sono stati eseguiti che è stato proprio emozionante.

Il Parco della Musica, diciamo che lo promuovo: i biglietti costavano 8 euro e quindi abbiamo assunto a cuor leggero il rischio di dover uscire prima della fine. Altri spettacoli, in genere, sono ben più cari e trovo un po’ assurdo non immaginare delle riduzioni per bambini sotto i 6 anni (non sotto i 26, come è strutturato attualmente l’italico sistema di ridotti nei teatri). Purtroppo questo discorso vale un po’ ovunque, a marzo volevamo andare a vedere il Flauto Magico (ma va?!) al Teatro dell’Opera ma il biglietto del gatto costava quasi quanto quello di un adulto, ovvero l’80% di un biglietto intero. Quindi, alla fine, una pomeridiana di domenica ci sarebbe costata circa 300 euro, nonostante lo Shogun stia in braccio tutto il tempo e quindi non usi la poltrona. Anche perchè, un bambino di 3 anni sulla poltrona è come se assistesse allo spettacolo seduto per terra al buio, nel foyer: la prospettiva del palco è la stessa. Cioè nessuna.
A questo proposito mi domando come mai qui nei teatri non distribuiscano quei cubi di rialzo per le poltrone che danno nei teatri a Londra e a New York. Direi che è un indice significativo di quanto i bambini vengano portati a teatro in Italia, rispetto al resto del mondo civilizzato. Sto facendo della polemica nonostante le premesse pacificamente giappo? Vabbè, quando ci sta ci sta e questo è pur sempre il blog del solito vecchio Kaiseki!
Cmq, questo per dire che del Flauto Magico gli abbiamo comprato il dvd.

Konnichiwaaaaaaaaaaaa ^^

venerdì 6 luglio 2012

Di come il Kaiseki illumina circa l'opportunità di praticare la ceretta sulle braccia

Lo charme è un nodo da stringere con stile
Salta subito agli occhi, credo, il titolo di questo post.

Ebbene, dopo più di un anno di titoli dedicati ai Beatles e a Paul McCartney, spesso privi di nesso apparente con il contenuto del post, ho deciso di virare per una impostazione lievemente più didascalica. Questo titolo, in effetti, è abbastanza arduo da fraintendere. 

Quindi potete decidere voi se valga la pena proseguire nella lettura o se fermarvi qui. D'altronde, la scelta di non proseguire - legittima, per carità - può dipendere da svariati motivi:
  1. siete uomini e, come la stragrande maggioranza degli uomini, il concetto di depilazione vi crea disagio. Conosco stimati professionisti disturbati anche solo dal pensiero che la propria madre si depili le gambe e ragazzi ostinatamente convinti che una donna vada dall'estetista solo per massaggi e manicure (nonostante sappiano benissimo che il 90% dell'indotto è legato all'estirpazione dell'odiato bulbo);
  2. siete bionde e - forse - di ceppo scandinavo. Siete di quelle che hanno trasparenti anche le sopracciglia, che non hanno mai comprato le pinzette e, quindi, questo post non vi riguarda;
  3. siete donne, siete more, vi depilate abitualmente le gambe ma – chissà perché - siete contrarie per principio al concetto di braccio depilato. Ecco, se appartenete a questa categoria, vi chiederei di continuare a leggere perché questo post lo scrivo proprio per avere un confronto con voi.
Veniamo al nocciolo della questione: io la metropolitana la prendo poco. Ma le volte che mi capita di prenderla, è straripante. Ora, il Kaiseki non è proprio una stanga, quindi, quando viaggia su un vagone zeppo, si abbarbica come può al sostegno verticale, quello a cui si aggrappano decine e decine di mani. E spesso, specialmente se sei bassino, vedi le mani e un groviglio di braccia, senza associare immediatamente un braccio al volto del proprietario.
Ecco, voi non avete idea di quante volte il Kaiseki abbia confuso le braccia appese al sostegno, attribuendone di particolarmente villose a uomini per poi scoprire - con orrore - che appartenevano alla figuretta leggiadra di fianco all’omaccione.

Chevveldicoaffà? Una cosa scioccante, da pelle d’oca. Orrida. E per questo io voglio lanciare un appello.

Ragazze, la ceretta sulle braccia – superati i 14 anni (età in cui una ha talmente tanti problemi legati alla sfera della femminilità che, davvero, i peli sulle braccia passano in secondo piano) - rappresenta un imperativo categorico da cui non si può prescindere. E’ una delle caratteristiche che rende leggiadre, aggraziate, attraenti e self confident. E – diciamolo – è anche quella che ci distingue dalle scimmie!
No, la decolorazione non è lo stesso.
No, usare solo indumenti a maniche lunghe non è un’attenuante.
Ragazze, le braccia delle donne – come le gambe - sono più belle di quelle degli uomini perché non sono infestate di peluria: prendete il coraggio a due mani e liberate le vostre braccia da quei mostruosi villi neri: anche la vostra anima si sentirà alleggerita.

Capisco da sola che questo tema è poco in sintonia con il sottotitolo del blog ma sentivo di dover spezzare una lancia per la causa.
E ora, il dibattito è aperto e guai a voi a chi si lagna che preferiva le citazioni dei FabFour!

PS L'immagine inserita in apertura - scelta per restituire un senso di eleganza e leggiadra femminilità - è gentilmente concessa da Lo Charme è un Nodo da Stringere con Stile. Chi vòle capì...^^

lunedì 2 luglio 2012

Someone's on a mission to the lonely Lorelei...

Ecco qui, il Kaiseki è volato con la prole in Germania per il ponte.
Quale ponte? Il grandemente atteso giorno del santopatrono che anche quest'anno ci ha concesso un po' di sollievo dall'afa. Questa breve trasferta mitteleuropea ha risvegliato nel kaiseki polemiche battagliere sacrosante del tipo: ma perchè la perifieria di Bonn è tanto più accogliente del centro di Roma? 
Perchè qui non c'è un parco degno di tale nome, una strada senza cacche o sputi o cartacce, un marciapiede senza auto o motorini parcheggiati, una pista ciclabile a cui qualcuno riconosca una funzione di viabilità per ciclisti? Perchè al kaiseki deve periodicamente venire il preoccupante desiderio di abitare in un posto tipo-quello, anzichè tipo-qui? 
E non mi rispondete perchè a Roma ci sono i teatri e i cinema e puoi andare per mostre perchè, siamo onesti, una famiglia media con bimbi piccoli, quanti teatri/concerti/retrospettive visita annualmente? 
Forza, non vi vergognate: due? Tre?
Quattro, già non ci credo. A meno che non apparteniate a qualche categoria protetta di classe iperprivilegiata con bambinaia peruviana fissa. Perchè - diciamoci pure questo - quelle quattro volte che andate a teatro, vi portate i pargoli? Essù!
Quindi, la risposta che a Roma c'è tutto, non conta.
Passiamo alla fesseria numero due: a Roma esci dal lavoro e ti prendi l'aperitivo ovunque tu voglia, ci sono milioni di ristoranti e d'estate giri a mezzanotte sbracciato
Idem come sopra: una volta superata l'età della follia (e prima di affacciarsi a quella della pensione) ma quanti aperitivi dopo lavoro vi prendete? Ve lo dico io: nessuno. Perchè se lavorate a Roma e avete figli piccoli, nella migliore delle ipotesi, all'approssimarsi delle famigerate 17 (l'ora x) vi trasformate nel più becero Fantozzi per il rocambolesco rush verso la fermata dell'autobus (che sarà in ritardo), della metro (che sarà piena), del motorino (che sarà incastrato tra una minicar e uno scooterone e sopra avrà una multa per divieto di sosta e una cagata di piccione). A lavoro, nella migliore delle ipotesi, vi avranno schedato come fancazziste lavative perchè avete preso questa vergognosa abitudine di uscire in orario (a Roma c'è una prassi che va tanto di moda per cui, anche se non hai una cippenvald da fare, se esci prima delle sei e mezza/sette hai lavorato mezza giornata), nella peggiore, vi ha chiamato qualche malheureux per fissare una riunione - che ne so - dalle 5 alle 7. 
Perchè tanto che devi fa'?
E quindi, dopo aver buttato un'oretta nel traffico, sarete a casa e magari è ancora giorno perchè è estate, magari è una giornata terribilmente bella (perchè c'è di vero che a Roma abbiamo un ottimo clima) e volete portare lo Shogun da qualche parte, un posto bello...e? 
Dove andate?
Vicino casa - per forza - perchè riprendere l'auto alle 18 è da matti: si rischia di fare mezz'ora di fila per 200 metri. Il problema è che vicino casa non c'è niente. Niente di niente. Cemento di solito, se vivete in un bel posto, un parco (con cani sciolti, senzatetto, qualche accampamento di zingari, varie deiezioni e forse - ma forse - un paio di altalene decrepite e vandalizzate, prese d'assalto da un centinaio di bambini incivili e maleducati).
Non ce l'ho nè con gli zingari, nè con i bambini che ti spintonano e ti mandano a quel paese se non gli passi la palla, nè con i cani la mollano. Non necessariamente almeno. Ma perchè anche nel buco più insulso della Germania (senza offesa) ci sono giardini accoglienti, lungofiumi dove non rischi di essere accoltellato, dove puoi decidere di fare una gita in battello, un giro in bici, una scivolata su uno scivolo integro, una partita a pallone in un parco recintato e RISERVATO AI PICCOLI? Perchè i quartieri periferici a Roma assomigliano al Bronx e a Bonn la periferia è fatta di villette, giardini, viali alberati e graziosi caffè con i tavolini. Perchè gli amici da cui siamo stati (persone assolutamente normali) avevano il sabbiaio e il jumping in giardino, un cespuglio carico di lamponi e le casette per gli uccelli? 
Ora, io non lo so, la loro vita sarà terribilmente provinciale ma sinceramente non credo che il nostro gravitare intorno al quartiere/municipio, senza mettere fuori il naso se non per andare a lavoro sia tanto più entusiasmante, stimolante o di ampio respiro.
Con tutto il rispetto per i teatri che ci sono in giro.

giovedì 14 giugno 2012

All we are saying is give peace a chance

Non voglio trasformare questo blog in uno spazio di denuncia (non necessariamente almeno) ma assisto a quotidiani segnali di allarme kaiseki che non posso non condividere con i miei affezionati follower. Quindi oggi sono a rappresentarvi alcuni episodi consumatisi nell’ultima settimana per confrontarmi con voi circa la reazione che ne è derivata.

Episodio 1- la sòla esclusiva.
A settembre lo Shogun andrà alla materna, il che significa che, da un lato, la chiudiamo con questo asilo nido di odiosi e, dall’altro, che abbiamo trascorso gli ultimi mesi nella febbrile ricerca di una struttura adeguata (ovvero, raggiungibile senza jet privato, che disponesse di una proposta formativa decorosa e che rispettasse quel minimo di standard igienico sanitari che risultano lievemente trascurati nella scuola pubblica - ove, peraltro, non siamo rientrati). Insomma, alla fine abbiamo iscritto il gatto in una struttura semi-montessoriana, palazzina elegante, giardino privato, retta mensile ai confini dell’oltraggio (a livello di una borsa in pelle di Tod’s ogni mese, non so se avete dimestichezza) che, per perfezionare l’iscrizione fatta a gennaio (!) ci ha fatto versare 350 euro di quota più il primo mese di frequenza.
Sì, avete capito, a gennaio 2012, per iscrivere tuo figlio alla materna devi pagare subito per settembre 2012. Ovviamente poi (ma questa è una prassi già sperimentata) il pagamento in corso d’anno avviene anticipatamente e si versa entro il 5 del mese precedente. Dopo il 5, subisce una penale del 20% (che, tradotto, è un numero a 3 cifre) e può essere effettuato esclusivamente in contanti.
Io il contratto di Spartaco me lo immagino scritto più o meno negli stessi termini.
Ovviamente in latino.
Cmq, tornando a bomba, io e Mr P. ci pieghiamo senza colpo ferire a queste vibranti pretese, in nome del benessere scolastico e del progresso educativo del gatto, accettando quindi una sfilza di postille, in cambio di una scuola che sembrava garantire tutta una serie di standard di eccellenza. E così, per lo meno, fino mercoledì scorso, giorno in cui, girovagando su Internet, trovo un video promozionale della scuola in questione (postato da loro stessi, sia chiaro!) sul sito di Pagine Gialle. Insomma, ve la faccio breve, a un certo punto del filmanto si vedono dei bambini seduti attorno a tavolini a ritagliare. E che ritagliano? Riviste di attualità, quotidiani e...cataloghi di biancheria intima!
Shock shock shock!

Ovviamente, lunghe sono state le riflessioni e i confronti, con Mr P. ma anche con tanti amici, ex maestre, nonni...alla fine abbiamo deciso di ritirare l’iscrizione. Perchè avranno senz’altro tutte le giustificazioni della terra, ci daranno degli esagerati, non ci restituiranno i quasi mille euro che si sono già intascati e che (come da contratto capestro sottoscritto) risultano intesi a fondo perduto però, aò, il kaiseki non ci riesce a stare con la pulce nell’orecchio...e quindi ciccia.

Episodio 2 - la sòla in offerta.
Il Kaiseki è omnipresente nei db delle aziende: ha tessere di un numero imprecisato di supermercati, catene, negozi, ristoranti...poteva mancare Prenatal? Ovviamente no, quindi quando qualche giorno fa mi è arrivata questa superofferta di uno sconto del 30% su tutto l’abbigliamento l’ho registrata nell’angolo del mio cervello riservato agli acquistidafare. Quindi vado con un’amica e compriamo, compriamo, forti e soddisfatte al pensiero di quanto stavamo risparmiando. La sera, mi telefona l’amica - accorta - per richiamare la mia attenzione su una cosa che - ingenua - non avevo notato, ovvero che tutti i cartellini erano stati modificati con un nuovo adesivo del prezzo e che i prezzi iniziali erano, guarda caso, inferiori del 30% a quelli finali!
Io ora mi domando: ma si può? Cioè, abbiamo comprato da Prenatal, non dal cinese sotto casa (con tutto il rispetto per il cinese) non avremmo dovuto - con diritto - sentirci al riparo da raggiri del genere?
Evidentemente no, visto quanto dimostrato dai fatti. Passiamo oltre.


Episodio 3 - Non commentare MAI il tatuaggio di una donna (anche se in realtà...IO NON AVEVO COMMENTATO!)
Ieri, non paga della sòla presa con la permanente alle ciglia, sono tornata nel salone superfico di cui alle precedenti pubblicazioni per sottopormi al restyling delle sopracciglia. Ci sono tornata anche perchè la bionda che l’altra volta mi aveva illuminato sui meglio cavoli suoi, aveva promesso che mi avrebbe omaggiato, dopo il restyling, della ripigmentazione delle sopracciglia
Che potevo fa’? Sono andata. 
Arrivo in anticipo di 10 minuti e la cosa sembra seccare molto la socia n.2, una rossa very aggressive, che mi accoglie con lo sguardo assassino e le seguenti parole: “Sei in anticipo!”. Sì, ok, mi siedo e aspetto. Venti minuti dopo, in ritardo di 10 sulla tabella di marcia, arriva la ragazza della volta scorsa - che per comodità chiameremo la bionda...anzi no,  che per comodità chiameremo proprio Simona! Volevo esordire, con suardo di ghiaccio “Sei in ritardo!” ma mi sono limitata ad appollaiarmi su un seggiolone e a lasciare che iniziasse il trattamento e riprendesse il discorso sulla sua vita, lasciato a metà la volta precedente. 
Dovete sapere che stavolta Simona aveva le maniche corte e sfoggiava due poderosi tatuaggi su entrambe le braccia: una specie di grumo di corna e nuvole in prossimotà della spalla destra e un ramo di spine attorcigliato attorno al braccio sinistro. Vorrei premettere che sono forse la persona meno contraria ai tatuaggi dell’emisfero occidentale soprattutto perchè non me ne strafrega niente di come il prossimo decide di conciarsi quindi vi giurin giurello che la mia - disgraziata - domanda “E’ un tatuaggio unico?” non voleva nella maniera più assoluta essere una provocazione/giudizio/critica.
Cioè, che ne so, da tonta che sono pensavo di poter interagire (e fermare per un momento il fiume in piena della spiegazione sul processo chimico della ripigmentazione), tirando in ballo una pittura parietale da chiesa sconsacrata che lei aveva ritenuto di farsi definitivamente tradurre sulle braccia. 
E’ stato uno sbaglio. Un grosso sbaglio e me ne sono resa conto - ahimè - troppo tardi, con un sopracciglio corto e nero e l’altro peloso e castano. Vorrei riuscire a trovare un termine più adatto, meno forte ma non mi viene: Simona s’è incazzata da morì. Ma proprio da morì. E ha attaccato che ero una superficiale, che questo è un paese di morti, che la gente dovrebbe studiare un po’ di cultura punk, leggersi qualche testo di letteratura punkettara. So per certo di aver anche peggiorato le cose quando - non ancora convinta di quanto fosse nera - le ho chiesto “Tipo? Dimmi un titolo di libro punk” ma giuro che era solo curiosità...
Aò, mi stava lì con quelle microforbici vicino all’occhio e le tempie che le pulsavano e io, davanti allo specchio, leggevo lo sconforto sul mio viso. Io adesso la butto sul ridere ma vi assicuro che non è stata una bella esperienza e mi sono anche sentita una mezza nullità per non essere riuscita nè a calmarla nè a risponderle per le rime.
Ma vi pare possibile farsi maltrattare così dalla truccatrice ex ufficiale giudiziario, ex punkabestia, potenziale serial killer?
A me no, ma tant’è.

Diciamo che questo post si ricollega al filone Sky & Co del fregamepiano e a quello della rabbia repressa nella coda del supermercato che prometto non intaseranno oltre il blog, però me dovevo sfogà.


Concludo riassumendo le 3 verità cosmiche che ho imparato questa settimana: 

  1. se iscrivi tuo figlio ad una scuola costosa, preparati perchè molto probabilmente è gestita da paraculi furbastri, con poca dimestichezza di Internet;
  2. se approfitti di una promozione in un negozio, sappi che la probabilità di prendere la sòla è smisurata. Meglio comprare dal cinese sotto casa;
  3. se decidi di farti tingere le sopracciglia, sappi che il rischio di azzuffarti con la truccatrice punk è meno lontano di quanto tu creda, armati di sguardo truce e cuciti la bocca.
 
Voglio farmi fare una maglietta con la scritta “Se non devi dirmi niente di carino, non parlarmi!” ma se poi per caso mi incontrate per strada non salutatemi: ricordatevi che questo blog è anonimo!
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