A belly full of wine - Romanzo

mercoledì 9 marzo 2011

A belly full of wine - chapter 8

La settimana trascorre come al solito, tra alzatacce, colazioni con Barbara e lavori più o meno umilianti per Robert.
Colin non si fa vivo, Jarrod nemmeno. Intanto è quasi dicembre e nei negozi già troneggiano gli addobbi natalizi, in tv pubblicizzano torroni e dolci tipici ed io sono sempre più preoccupata dall’avvicinarsi prepotente di capodanno, una delle feste che tollero di meno in assoluto.
Il giovedì devo accompagnare Robert ad una convention di fornitori e lui decide di offrire il meglio di sé, quanto a meschinità. L’appuntamento è alle 7.30 di fronte al palazzo dei congressi, io arrivo congelata e insonnolita alle 7.32 trovandolo già davanti al cancello che è, ovviamente, ancora sprangato. Il palazzo, infatti apre alle 9.00 e solo chi ha il pass per gli stand, cosa di cui io naturalmente non dispongo, può entrare prima. Robert non mi degna quasi di una parola e continua ad armeggiare con il suo palmare, con aria super impegnata. Mi rannicchio contro una transenna cercando di evitare il vento gelato: ho anche lasciato i guanti in macchina. Dopo un quarto d’ora di silenzio immobile sono praticamente ibernata e decido di andare a recuperare i guanti, in fondo la mia auto è appena dietro l’angolo. Avviso Robert e mi avvio in fretta; mi ci vogliono più o meno tre minuti. Quando torno però, il piazzale davanti alla cancellata è deserto.
Chiamo Robert sul cellulare e non mi risponde. Mi guardo attorno perplessa: possibile che sia andato via? Forse l’hanno rapito, penso con un fremito, ma è improbabile.
Provo a richiamarlo e stavolta mi risponde.
“Robert, sono Trish…si può sapere dove sei finito?!”
“Ah, Trish, sono entrato: è venuto a prendermi Jacob della Bridgestone al cancello. Tu eri sparita…” Non ci posso credere.
“Robert, sono andata a prendere i guanti in macchina, te l’ho anche detto…”
“Beh, io mi sono girato e non c’eri più…non potevo aspettarti in eterno! Comunque, alle 9.00 aprono, aspetta un po’ e poi raggiungimi allo stand della Bridgestone.”
Sono senza parole, guardo l’orologio, sono ancora le 8 e 10. Torno mestamente verso la macchina quantomeno per ripararmi dal vento. Nello stomaco ho un groviglio di amarezza e cattivi sentimenti: odio quest’uomo e odio questo lavoro. Niente come una giornata che comincia così può far sentire sola e avvilita una persona. E la sensazione è che sarà un giorno lungo.
Infatti: alle 9 entro e a quel punto è un trottare ininterrotto dietro a Robert, carica di tutto l’inutile materiale promozionale che va raccattando ad ogni stand.
Lui, dal canto suo, intrattiene le relazioni –come continua a ripetermi- e si dimentica quasi sempre di presentarmi alle persone con cui si ferma ad intessere i suoi fondamentali rapporti commerciali.
Alle 12 mangiamo un panino rancido in piedi al bancone di uno dei bar della fiera e ripartiamo all’attacco degli stand. Alle 3 inizia una dimostrazione della Continental su un nuovo modello di pneumatici da neve. Alle 4 e mezzo, finalmente, il supplizio finisce: Robert ovviamente non considera nemmeno per un istante l’opportunità di tornare in ufficio e, dopo avermi salutato brevemente, si dilegua tra la folla. Io rimango immobile per un attimo, carica di pacchetti, depliant e listini prezzo in mezzo al corridoio di ingresso della fiera e riprendo fiato, assaporando la libertà riconquistata. Una folata di vento si intrufola tra le porte scorrevoli e mi scuote. Afferro saldamente le mie buste e mi incammino, esausta, verso la macchina.
Arrivo a casa che è già buio ma, attaccata alla porta con un pezzo di scotch, c’è una busta. Dentro trovo 2 biglietti per le Nozze di Figaro e una breve nota di Colin che si scusa per il ritardo nella ricerca dei biglietti e mi rassicura sulla piacevolezza dell’allestimento. I biglietti sono per il sabato successivo, io, che è la prima volta che ricevo un invito così originale e che ormai avevo iniziato a pensare che non avesse nessuna intenzione di uscire di nuovo insieme, sono semplicemente deliziata.
Ma troppo stanca per descriverlo degnamente.

La mattina dopo è venerdì: giorno di riunione. Arrivo alle otto e un quarto e, mentre sono in ascensore, cerco di prepararmi spiritualmente all’inevitabile rimprovero di Robert. Quando entro in ufficio, invece, trovo Max al telefono (con chi a quest’ora?!) e Josh impegnato a scrivere un’email; la scrivania di Robert è vuota.
“Beh? Che è successo?!” Chiedo mentre mi sfilo il cappotto.
“Ti sei salvata stamattina, è?” Ridacchia Josh “Robert ha la febbre, ha già chiamato, ovviamente.”
E, ti pareva!
“Non ti preoccupare, Max gli ha detto che eri in bagno.”
Figurati se l’ha bevuta…comunque, va benissimo così, anzi, è quasi troppo bello; è venerdì, Robert non c’è, io ho un invito per andare all’opera domani con uno dei ragazzi più carini ed interessanti che abbia conosciuto nell’ultimo secolo…non c’è che dire, la giornata promette molto bene!
E infatti, tutto procede stranamente per il verso giusto: Robert richiama verso l’ora di pranzo e, a giudicare dalla voce, è piuttosto malconcio, inoltre, mercoledì prossimo deve andare a Bonn per l’azienda e non credo che lunedì rischierà una ricaduta venendo in ufficio. E’ incredibile come certi avvenimenti insignificanti riescano a cambiare in modo tanto improvviso e radicale la tua percezione dell’esistenza.
Ammetto di essere un po’ umorale, a volte, ma sono sfumature come questa che mi catapultano dalla depressione profonda alla più incontrollata esaltazione. Per festeggiare, dopo pranzo, mi sento quasi in dovere di offrire a tutti il caffè e compro anche una confezione di cioccolatini alle nocciole che distribuisco generosamente alle vittime dei soprusi di Robert. Ne conservo uno per Jack.
Il pomeriggio passa in fretta (nonostante quello che dice Robert, il venerdì è una giornata in cui si riesce a combinare poco perché molti uffici chiudono prima), alle sei ordino con Max le carte sulla mia scrivania e mi preparo ad andare via. Mentre sono in macchina ricevo la telefonata di Emma.
“Ciao, ti disturbo? Sei ancora alle prese con il maniaco?”
“Emma! No, è malato” Sorrido tra me, è moralmente accettabile gioire in questo modo perché una persona si è presa l’influenza? “E’ una settimana che provo a chiamarti, Emma…si può sapere che fina hai fatto?!”
“Scusa, lo so che mi hai chiamato…ultimamente le cose a casa non vanno per il verso migliore…ho avuto parecchio da fare, questi giorni. Senti, hai impegni stasera?”
La visione di una cantina piena di fumo e di gente che beve birra vestita di nero mi attraversa la mente ma la scaccio subito: Emma è una mia amica.
“No, niente? Hai qualcosa in mente?”
“No…cioè, niente di che, una cosa tranquilla. Ti va se andiamo in un posto tranquillo a berci una cosa? Ho un po’ di roba da raccontarti…”
“Certo…senti, se vuoi puoi venire da me, ci prendiamo qualcosa al Take Away cinese e ceniamo a casa”
“Ah…va bene. Vengo verso le nove? E…Trish?”
“Sì?”
“Non dirlo a Jarrod, ti dispiace?”
“Macchè, tranquilla: stasera saremo solo noi due!”

Anche perché, cara Emma, Jarrod non lo sento da un po’ di tempo…

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...