Sono settimane che non riesco a scrivere una parola. Il blog
ormai langue e io capisco che tenere in piedi un sito di qualità è un lavoro
molto impegnativo che implica la seria, assidua e appassionata produzione di
contenuti interessanti. Purtroppo, il kaiseki sta attraversando una fase di assoluta
fancazzite e non si applica per niente. Ieri mi è capitata una cosa
tragicomica, però, che vorrei condividere con voi per riflettere insieme su ciò
che ne deriva in termini di analisi sociale.
Mi trovavo a passare con la macchina in un vicolo del centro:
stretto, deserto. Ad un certo punto, di traverso in mezzo alla strada, mi si
para davanti una Punto a che mi sbarra la strada. Dentro (non vi spaventate!)
una suora che con tutta calma, scende, si avvicina ad una saracinesca sul lato del vicolo e infila la chiave
provando ad aprire quello che ho intuito essere un box. Io, aspetto, figurati:
una suora! Posso senz’altro avere un attimo di pazienza. Sennonché, non so per
quale motivo (era andata via la corrente? era la chiave sbagliata?) la
saracinesca non si apre e la suora torna mesta verso la macchina.
Io tra me penso “Ora mi sposta la macchina e la accosta un
po’ più avanti così io posso passare…”. Invece la suora (che a quel punto avevo
già iniziato a chiamare - nella mia
testa - monaca, rientra nell’abitacolo,
mette in moto, chiude entrambi e finestrini, svuota il portaoggetti, spegne la
Punto, esce, chiude a chiave e fa per andarsene. Io sono allibita e quando mi
passa vicino (dopo aver implicitamente insinuato con tutte quelle manovre di
messa in sicurezza che, una volta che avesse girato l’angolo, le avrei svuotato
la macchina) le chiedo “Scusi, sorella, dovrei passare e avrei un po’ di
fretta, non è che mi sposterebbe l’auto, per favore?” Beh, sapete lei che mi ha
risposto? Che doveva andare a cercare le altre chiavi del box e di fare marcia
indietro e cambiare strada. Ora, io non so se riesco a rendere l’idea di un
vicolo largo 3 metri a cui si accede, con curva a gomito, da un altro vicolo largo
3 e mezzo, ma guardo la suora e l’unica cosa che riesco a dire è: “Sorella…è
contromano!” e lei “Noooo, non è contromano!” e se ne va.
Non vi dico come è finita, tanto non c’è niente di saporito
da sapere: ho aspettato, lei dopo un po’ è riuscita e ha spostato la macchina.
Io ho pensato delle brutte cose e sono stata punita con la chiusura (causa
incidente) dell’altra strada che dovevo prendere, con conseguente lunga
deviazione e traffico e ritardo. Però riflettevo: emblematico no?
Cioè, se una suora al volante ti tratta così, perché stupirci
quando davanti scuola dello shogun, sulle strisce, uno quasi ci travolge con la
macchina per poi fermarsi a insultarmi per avergli gridato contro? O se
attraversando a piedi, sulle strisce, al semaforo (verde per me) un uomo di
mezza età, apparentemente normale, avanza piano piano fino quasi a salirmi sui
piedi e mi ride in faccia quando gli faccio notare che per lui è rosso?
Stiamo diventando, anzi no, siamo diventati un paese di
incivili, di brutte persone. Non tutti, per carità, nessuno si senta offeso,
però siamo disperatamente prepotenti, estremamente maleducati, intolleranti
fino all’insopportabile. Da poco ho lasciato il motorino a favore di un veicolo
elettrico, piccolo, supersilenzioso, lento (45 km/h che per il centro sono
molto più di quanto non serva) ed ecologico e posso garantirvi che quando sono
nel traffico vengo considerata alla stregua di un insulto esplicito alla
categoria “automobilista italico”. Devo essere una specie di “Vaffanculo”
ambulante per chi mi circola dietro perché non potete immaginare quante assurde
sgasate per superarmi a destra (e inchiodarsi dopo 5 metri, visto che il
semaforo è generalmente rosso), quante strombazzate inutili, quanti rombi di
motore e manovre indegne provoco quotidianamente. Cioè, a Roma, in auto (sarà
lo stress da traffico, sarà quello che vi pare) quella che vige è la legge
della giungla, perfezionata in chiave squisitamente anarchico-violenta.
E dopo l’episodio della suora, ho capito che le speranze di
recupero sono prossime allo zero.
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