A belly full of wine - Romanzo

sabato 19 novembre 2011

People say I’m lazy, dreaming my life away...

E quindi sono un’inconcludente. Non c’è niente da fare, è la storia della mia vita: inizio qualcosa e non la finisco mai. In più di 30 anni (a questo punto preferisco non tediarvi con fastidiose, ulteriori precisazioni) ho anche elaborato la teoria secondo cui non ci sia niente di così preciso da finire o – meglio – che i presunti traguardi che sei abituato a considerare siano delle puttanate, più o meno tutti.
E che siano pure deprimenti. Cioè, è come dire, hai iniziato a studiare il piano, prima o poi, se sei abbastanza bravo, finirai. E tu pensi tiè – e magari fai pure le corna. Anche se in realtà, idealmente, entri nella fascia del finito quando inizi a saper fare una cosa abbastanza bene perché un profano possa – dico per dire – sentirti suonare un waltzerino, anche da cani,  e considerare tra sé e sé: questo sa suonare. Anche se il pensiero successivo è “anch’io ho sempre voluto imparare ma non avevo l’orecchio (o la costanza, o il tempo…)” e – zac – la malinconia. E’ che il senso di colpa ci rovina la vita. Almeno la mia. Non so voi, forse godete di una maggiore autonomia di pensiero, forse vivete per voi stessi. Forse siete degli spiriti liberi, io no. Io una mente libera non lo sono mai stata, anzi,  passo il tempo a costruirmi limiti e barriere, scuse, alibi, pregiudizi.
Comunque, per tornare al discorso dell’inconcludente, pensate che conti qualcosa? In fondo, nell’equilibrio generale delle cose, contano qualcosa le centinaia di caroselli che elaboriamo nella nostra mente senza muovere fisicamente un muscolo? Credo di no. E questo un po’ mi riconcilia con il senso di delusione che, altrimenti, non dovrebbe lasciarmi scampo. Ma sono solo momenti.
Io credo che si tratti di novembre. Insomma, novembre è un mese difficile, no? C’è questa cosa, per esempio, che mi sono accorta di non riuscire a comprendere del tutto: iniziano ad addobbare Roma come se fosse già Natale. Al 10 di novembre. Cioè, capiamoci, a me piace il Natale e sono pure d’accordo di trovare il panettone al supermercato in quelle fasce periodiche indefinite; tipo che, tra ottobre e febbraio, se ti va, sai di poter comprare il Rustego alla Sma. È proprio l’idea di trovarmi i negozi tutti addobbati di luci e ghirlande di pino silvestre la sera, quando esco dall’ufficio, che mi disturba. Insomma, che diamine: mancano 2 mesi! E fanno 25 gradi a pranzo, voglio dire, così per forza si perde la poesia. Così sembra di vivere nel Truman show: Natale è quando decidono loro. Forse è per la crisi. La gente si sforza di tenersi alto il morale con il vischio fuori stagione.
E' per forza novembre. Di solito il mese che mi pesa di più è febbraio ma anche novembre si piazza bene. Voi ce l’avete un periodo che proprio non vi va giù? Che già lo sapete che vi scoccerà? È un po’ da matti prendersela con i mesi, lo so. Ma con qualcuno te la devi prendere, no? Cioè, questa è una delle cose che mi riesce meglio: io la chiamo condividere le responsabilità.
Outlook che si blocca, il salumiere che non sa tagliare il prosciutto, mia nonna che – come il postino – suona sempre due volte, chi mi parla come in un videogioco: meno parole usa, più punti guadagna, Mister P. se mette le posate a testa in giù nella lavastoviglie, l’amica che ti invita e poi si scorda, quella che ti chiama e non ti deve dire niente, la maestra dell’asilo che fissa l’incontro alle 2 di pomeriggio, la commessa stronza, quella cretina, il vigile al semaforo la mattina che non fa mai scattare il verde, chi mi fuma davanti per strada, la collega che cammina con me e si ferma per chiacchierare con qualcuno e io non posso proseguire da sola, quello del quarto piano la cui vita sembra scandita dagli orari del nostro sistema di innaffiamento automatico, il contatto di Facebook che mi invade Skype e poi mi dice ma sei sempre connessa?!, quelli che lavorano da Feltrinelli che sono maleducati e ignoranti, le casse del supermercato che ne aprono sempre solo 2 anche se ci sono 40 persone in fila, gli elettricisti del negozio sotto che parcheggiano sempre davanti al nostro cancello, quelli che parcheggiano in doppia fila e bloccano l’autobus, l’autobus bloccato che inizia a suonare il claxon, il barista che mi fa il caffè troppo corto, quello che me lo fa troppo lungo, gli storni su lungotevere che puzza tutto di merda... E soprattutto me stessa, che passo ore utili condividendo le responsabilità con tutti i casi umani che intersecano la mia traiettoria, che mi lagno per i mesi freddi, per quelli caldi e pure per quelli tiepidi, che mi intestardisco sui dettagli e perdo la visione di insieme, che trovo le scuse migliori per sottrarmi a questo fluire, così come viene.

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