Shanti.
In
realtà, ormai è quasi una cosa vecchia: pratico già da 2 mesi. Quasi.
Una volta a settimana: la versione ufficiale è che a casa non posso
esercitarmi perchè non ho ancora l’attrezzatura adatta (tappetino,
mattoni, cuscino, cintura...) ma non appena riceverò il sostanzioso
ordine da Yoga Shop Milano (perchè a quanto pare a Roma non ci sono
negozi che vendano supporti per lo yoga) allora sì: vedrete che
guerriero della luce divento!
La lezione si articola in un’ora di esercizi e mezz’ora di rilassamento.
Io
confesso che il rilassamento alle nove di sera, con il gatto ancora
sveglio e vigoroso che salta sul letto con il padre, la cena ancora da
preparare e la doccia (coi capelli) ancora da fare, ecco, non me lo godo
fino in fondo. Eppure, c’è gente accanto a me che si abbiocca
all’istante. Cioè, tipo che il maestro non fa in tempo a dire “Ora
portate la vostra attenzione all’alluce del piede sinistr...” e parte la
prima russata. Al confine (ma anche oltre) con l’imbarazzo, dai: tutti
lì con la copertina a dormire...vabbè ma a parte questo, devo dire che
procede abbastanza bene. Riesco perfino a gestire la mia irritante
propensione alla risata ad minchiam.
Cioè a dire che la scorsa settimana ho ascoltato un’approfondita
descrizione della respirazione Kapālabhāti, altrimenti detta del “cranio
luminoso”, senza fare una piega.
Certo, Mr. P. non ce lo porto, figurati. Però bello.
Un’altra
cosa rilevante è che abbiamo deciso di prendere un gatto. Non un gatto
normale: un Gatto sacro di Birmania (oooooooooooooooooohhhhhhhhhhhh!).
Questa
risoluzione mi ha traslato nello scintillante universo delle gattare
romane: un mondo parallelo, dalle dinamiche peculiari, caratterizzato da
un proprio linguaggio tecnico, proprie convenzioni ed unici, felini
equilibri. Il gatto, lungamente cercato e infine individuato in quel
della Bufalotta, ci verrà consegnato a Natale (attualmente è ancora
piccolo) e poi Dio provvede.
Ovviamente i miei (sì, lo so è una follia) non sono ancora stati informati.
So
di essere una donna adulta, con una casa ed una famiglia sua ma non ho
mai del tutto superato il trauma delle 2 volte che provai a prendere un
micio e i miei genitori me lo fecero restituire.
La prima volta avevo 8 anni, lo presi al mare una settimana che ero rimasta con mia nonna. Ovviamente il sabato ciao-ciao-gatto (la
quale bestiola però riuscì ugualmente, in 2 giorni di vicinanza, ad
attaccarmi la tigna: ebbene sì, non chiedetemi come ma soprattutto, non
chiedetemi cos’è!). La seconda volta avevo 21 anni malo stesso, non ci
fu verso di tenerlo.
(Pensiero
laterale: questa cosa della tigna me l’ero dimenticata...no perchè non
fu una cosa allegra mandarla via...vabbè, adesso pensiamo al bello del
micio Momiji-Piumino)
Altro
argomento: una volta tanto, qualcosa di giapponese. Ultimamente mi è
venuta questa voglia di cucinare cose non solo buone ma divertenti per
lo shogun e ho scoperto il kiara ben* che sarebbe un bento decorato,
dentro cui il cibo viene plasmato per assumere forme graziose di
animaletti o personaggi dei cartoni. Per chi fosse interessanto
all’etimologia della parola, sappia che kyara ben è la forma contratta della parola kyarakutaa (personaggio) bentou.
Cmq, ho fatto un giretto su internet e ho trovato un sacco di siti che
insegnano a prepararne e - accanto a proposte proibitive che richiedono
l’ausilio di strumentazioni degne della NASA - ci sono anche cose
fattibili.
Vi
metto qualche link, se vi va, provate e mandatemi le foto: appena mi
esce un bento decoroso, pubblicherò anch’io i miei risultati.
Per ora basta, ascoltate la canzone del titolo, mi raccomando!
Links:
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3
* grazie al blog Dal Giappone!
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