La
premessa maggiore è che lo Shogun è stato
eroico, la minore è che ieri sera, finalmente, abbiamo fatto
qualcosa di giapponese. E finalmente posso comunicare sul blog una notizia attinente all’impegnativo sottotitolo del blog stesso.
Questa
settimana si è festeggiata a Roma l’estate giapponese, con qualche
(niente di esagerato) manifestazione a tema e 3 serate di musica
tradizionale all’Auditorium Parco della Musica. E noi, per ieri, avevamo
preso 3 biglietti per andare ad ascoltare il duo Tsugukaji Koto: due
suonatrici di Koto - appunto - alla loro prima esibizione europea.
Il
Koto è uno strumento tradizionale a corde introdotto in Giappone dalla
Cina nel periodo Nara (tra il 710 e il 784 d.C.), una specie di cetra
molto più grande, dal suono dolce e armonioso.
Il signor Pinco Pallo,
direttore artistico della manifestazione, in apertura di concerto
pronuncia - tra le altre - le seguenti parole: “Il koto è la
rappresentazione giapponese del drago in tutte le sue emanazioni”.
Questo perchè lo strumento viene paragonato al dragone cinese e le sue
varie parti riprendono il nome dalle parti del corpo del mitico animale.
Quello che rimane nell’orecchio dello Shogun - ma non mi sorprendo - è
la parola chiave della serata: DRAGO.
Il
gatto, che - ripeto - è stato di una compostezza ed una serietà che
lèvate, dando letteralmente le piste al Kaiseki e a mister P.,
tragicamente fulminati da un ignobile attacco di ridarella quando le
Tsugukaji hanno iniziato a cantare (da dire, in uno stile Marrabbio di
KissmeLicia), ha sussurrato ad intervalli regolari di 30-40 secondi “il
drago quando arriva?” oppure “dov’è il drago?” fino allo zenit di
“adesso arriva il drago e se le mangia tutte e due!”. Questo, per
l’intera durata del concerto.
In
effetti la cosa non fa una piega: lui aspettava ‘sto drago, che però
alla fine ha avuto un contrattempo e non è potuto intervenire. Era un
drago italiano, gliel’abbiamo spiegata così.
Cmq,
ridarella a parte (perchè se uno nasce povero di spirito, non è che si
trasforma in persona illuminata improvvisamente: servono quei 2-3 minuti
utili per acclimatarsi e farsi odiare dai vicini) è stato davvero
bello. Lo Shogun ha dimostrato una finezza di gusti ed un aplòmb che
gli sono valsi tanti sorrisi quante sono state le occhiatacce che si
sono guadagnati i genitori. Avrei voluto fare un video ma era vietato,
quindi vi metto il link di uno dei brani che sono stati eseguiti che è
stato proprio emozionante.
Il
Parco della Musica, diciamo che lo promuovo: i biglietti costavano 8
euro e quindi abbiamo assunto a cuor leggero il rischio di dover uscire
prima della fine. Altri spettacoli, in genere, sono ben più cari e trovo
un po’ assurdo non immaginare delle riduzioni per bambini sotto i 6
anni (non sotto i 26, come è strutturato attualmente l’italico sistema
di ridotti nei
teatri). Purtroppo questo discorso vale un po’ ovunque, a marzo
volevamo andare a vedere il Flauto Magico (ma va?!) al Teatro dell’Opera
ma il biglietto del gatto costava quasi quanto quello di un adulto,
ovvero l’80% di un biglietto intero. Quindi, alla fine, una pomeridiana
di domenica ci sarebbe costata circa 300 euro, nonostante lo Shogun stia
in braccio tutto il tempo e quindi non usi la poltrona. Anche perchè,
un bambino di 3 anni sulla poltrona è come se assistesse allo spettacolo
seduto per terra al buio, nel foyer: la prospettiva del palco è la stessa. Cioè nessuna.
A
questo proposito mi domando come mai qui nei teatri non distribuiscano
quei cubi di rialzo per le poltrone che danno nei teatri a Londra e a
New York. Direi che è un indice significativo di quanto i bambini
vengano portati a teatro in Italia, rispetto al resto del mondo
civilizzato. Sto facendo della polemica nonostante le premesse
pacificamente giappo? Vabbè, quando ci sta ci sta e questo è pur sempre
il blog del solito vecchio Kaiseki!
Cmq, questo per dire che del Flauto Magico gli abbiamo comprato il dvd.
Konnichiwaaaaaaaaaaaa ^^
Mi piace come scrivi. leggo con monto piacere tutto quello che mi invii.
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