So che forse è una situazione retorica, che non c’è niente di
particolarmente scioccante nel tipo di esperienza che sto per descrivere e che
a molti di voi sembrerà solo un profluvio di insulse banalità. Ma mi domando per
quale cosmico assioma ogni volta che mi imbatto in una qualunque delle conoscenze
più stronze e acchittate che mi toccano in sorte da un lavoro centrarolo, io sia
conciata nel modo più ridicolo e mortificante dell’intero mese a venire e di
quello precedente. E – già che ci siamo - mi chiedo anche perché
capiti sempre che sia io a riconoscere per strada questi fenomeni del glamour e
a lanciare loro quell’occhiata di troppo che, una volta intercettata, costringe
entrambe al pit stop.
La parabola si può riassumere in pochi tratti essenziali. Scena: rientro
dalla pausa pranzo. Personaggi ed interpreti. Io: tacco basso, fondotinta e
niente altro (già un miracolo se paragonato al resto ma dall’effetto leggermente
stralunato), capello sconvolto, infagottata in giacca, cappotto e sciarpa, stivale
andante (che stamattina prometteva pioggia), borsone e – orrore – bustina calzedonia
con dentro gambaletti di nylon (per mia nonna, giuro!).
Lei, che già scalza mi passa una quindicina di centimetri, indossa uno
strepitoso decolté blu con un bel tacco e anche un po’ di plateau, calze pesanti
leggermente operate (costose!), vestito corto blu scuro con uno scollo tipo Biancaneve,
cappottino coreano in tinta, apertissimo (niente sciarpa, niente scialletto,
nemmeno i bottoni!), borsa firmata, compatta, da urlo. Io la guardo, naso insù,
per tutti i cinque minuti di conversazione, lei per baciarmi si piega un po’
sulle ginocchia, io (per non mettermi sulle punte. E che diamine!) allungo il
collo fino a rischiare la slogatura. Mentre parliamo del nulla cerco di
ricordarmi perché abbia poi deciso di non depilarmi le sopracciglia,
approfittando del weekend. Lei - trucco
impeccabile, capello sfilzato, parrucchierato che le sta benissimo – mi sorride
cordiale.
Io la odio.
Cioè, non semplifichiamo, qui non si tratta di andare a farsi sistemare
il taglio, perché la mia zazzera (troppo lunga, troppo para, troppo liscia) se
spendessi quei dieci minuti in più per asciugarla come si deve e pettinarla di
tanto in tanto, non sarebbe così male. Qui si tratta di coerenza e – come dire
- di continuità. Si tratta di non incontrare mai queste mesdames précision il giorno che sei decente, ma di ruzzolargli contro
quello in cui sei tanto cozza che non te lo spieghi. Il giorno in cui hai
deciso comunque e con coscienza di metterti quelle calze rovinate,
quelle che - te lo sei detta chiaramente - “le devo buttare!” ma stasera, perché
che fai? Le butti pulite? E quindi, mentre abbassi lo sguardo sul suo sandalo
fashion sopra la calza di Woolford, con la coda dell’occhio intravedi i tuoi
piedi dentro le ballerine, col dorso cosparso dei pallini che le calze fanno
sui talloni perché magari in quell’istante micidiale ti accorgi di averle pure
messe al contrario! Insomma, lo schifo.
Qui il nocciolo del discorso è che, per quanto tu ti possa sforzare di
essere precisa e curata (senza strafare ma – insomma! - decorosa), arriverà
comunque quel giorno nel mese in cui topperai.
Tu sì, lei no. E quel giorno lei ti troverà. Quindi mie care tutte, spero che
voi apparteniate alla categoria delle acchittone inveterate – perché, in fondo,
chissenefrega di venire infamate in un post del kaiseki se poi vi aggirate con
la grazia e l’eleganza di una fashion
icon, no? – e che non vi offendiate per questo piccolo sfogo. Ma magari,
già che ci siete, fatevi un giro su uno di quei siti che dispensano
suggerimenti su “come tagliarsi la frangia da sole” o “come si usa il
piegaciglia” e lasciate il kaiseki a sproloquiare in santa pace sui vantaggi
dello smalto trasparente e della terra al posto del fard: dopotutto, questo è
un no-fashion blog!
Questo e il post precedente mi ricordano che si sta avvicinando il tuo compleanno... E che tu hai una piccola crisi di identità... Ma presto arriverà novembre e tutto passerà...tranquilla :-)
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